Comunicato stampa
Il piano industriale presentato da A2a è un incubo per gli isontini.
La più grande multiutility del Nord Italia si appresta a colonizzare Monfalcone con piglio e decisionismo tipicamente lombardo (ogni riferimento a governatori dalle giacche multicolori è puramente casuale). Dal centro economico del Paese l’azienda arriva in questa estrema provincia orientale e spaccia l’incenerimento di rifiuti per “risorse rinnovabili”, l’utilizzo del carbone per “innovazione verde”, come se stesse offrendo perline a una sperduta tribù africana del XIX secolo. Progetta l’ampliamento di una struttura ad alto impatto ambientale nel pieno centro di una cittadina e pretende pure di essere ringraziata. Non manca mai, poi, lo specchietto per le allodole dei posti di lavoro: si sbandierano nuove assunzioni, vincolandole però alla necessità di avere mano libera nell’allargamento della centrale.
Si tratta del consueto ricatto, “o il lavoro o la salute”, che vediamo ripetersi in tutta Italia dall’Ilva alla Ferriera di Trieste.
Nell’ottica di A2a Monfalcone è una pattumiera dove può convivere di tutto: fabbriche chimiche, cartiere, porti, cantieri, centrali a carbone. La “avanzatissima” azienda propone una visione anacronistica dello sviluppo, ammantandola con il linguaggio ipocrita del politicamente corretto, proprio mentre il governo va in direzione opposta e parla della necessità di “decarbonizzare” l’economia italiana. Al di là delle considerazioni su grande scala, però, il problema principale è sempre lo stesso: la salute. Il carbone (verde, rosso o nero che sia) inquina e fa ammalare le persone. Investire sul carbone laddove precisi accordi prevedevano fosse sostituito con il gas significa giocare con la vita delle persone nel nome del solito dogma, che in questo Paese sembra giustificare ogni sopruso: il profitto.
Collettivo per la difesa litorale carsico
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